STERILIZZAZIONE IN LAPAROSCOPIA O CON TECNICA TRADIZIONALE?
Caro Lettore, questa pagina ha carattere biografico e scientifico assieme. Le affermazioni mediche qui presenti (come le considerazioni negative sulla sterilizzazione precoce) si fondano sulla mia esperienza degli ultimi 25 anni circa, sulle mie osservazioni e sulle mie idee personali.
UN PO' DI STORIA.
Quando ho iniziato ad operare nei primi anni Duemila, era normale che un cane femmina venisse sterilizzato attraverso la rimozione di tutto l'apparato genitale. L'incisione cutanea si estendeva dall’ombelico al pube, per rimuovere le ovaie e tutto l'utero compresa la cervice uterina. Si faceva in Università e ho imparato in quel modo, ho visto fare così nelle varie cliniche dove sono stata dopo la laurea e così ho imparato da Luca Redaelli, il mio primo vero posto di lavoro. In quegli anni ho avuto modo se non altro di osservare come minimo un centinaio di cavità addominali, con tutti i loro bellissimi organi interni, vasi sanguigni, rapporti anatomici e legamenti.
Adesso la chirurgia di venti anni fa appare obsoleta e inutilmente invasiva. Era una chirurgia in un certo senso più semplice di quella che si fa oggi, perché l’accesso all’addome era davvero grande, c’era un sacco di spazio per le mani e la visibilità era massima.
Quando ho aperto lo studio nel 2002, ho gradualmente aumentato il numero di ovariectomie senza isterectomia (la rimozione delle sole ovaie che lascia in sede l'utero) in quanto le cagne venivano portate per la sterilizzazione sempre più giovani. Per la rimozione delle sole ovaie l'incisione può essere ridotta, fino ad arrivare a pochi centimetri. Ora è quello che fanno tutti i chirurghi veterinari, o quasi: oggi la ferita di un’ovariectomia classica in un cane giovane e sano è lunga pochi centimetri.
Negli ultimi anni (diciamo 5-6 anni) è diventata relativamente comune la chirurgia laparoscopica, che si sta diffondendo quasi più velocemente nell'immaginario collettivo dell'utenza di quanto venga effettivamente praticata dai veterinari. Voglio dire: la necessità di far operare un cane in laparoscopia appartiene molto più al proprietario del cane che al veterinario, statisticamente parlando. Su dieci chirurghi veterinari forse uno sarà in grado di fare un'ovariectomia laparoscopica, mentre su dieci proprietari di cani forse uno solo preferirà la tecnica tradizionale alla laparoscopia. Questo scollamento è frutto di tante ragioni, una di queste tante ragioni è la scarsa conoscenza dell'argomento, e questa scarsa conoscenza forse è perfino trasversale, ossia riguarda tanto i proprietari quanto i veterinari.
Qualche tempo fa, mentre dimettevo una gatta Maine Coon appena sterilizzata, la proprietaria osservando la ferita minuscola mi ha guardato e mi ha detto: "questa l'hai fatta in laparoscopia!"
Io le ho detto: "No ma è quasi lo stesso", perché avevo effettuato una chirurgia tradizionale con un approccio di 1,5 centimetri. In laparoscopia avrei dovuto praticare due ferite di mezzo centimetro, al posto di una sola di 1,5.
Un'altra volta ho dimesso una cagnolina piccola sui sei chili dopo una chirurgia tradizionale e la proprietaria era molto sorpresa nel vederla così allegra e felice. La cagnolina a poche ore dall'intervento saltellava e faceva le feste come se nulla fosse successo. La proprietaria mi disse: "Che bello! Pensavo di trovarmela mezza addormentata!" e io le risposi "Ma no, l'intervento è così, i cani normalmente vanno a casa in questo modo. Vede, la laparoscopia è un po' sopravvalutata in questi piccolini! L'ho operata in chirurgia tradizionale, vede come sta bene?"
Lei mi risponde "Ma come??! Io pensavo di farla operare in laparoscopia!"
C'era rimasta un po' male che quell'intervento perfetto si chiamasse chirurgia tradizionale e non chirurgia laparoscopica. Non ne avevamo nemmeno parlato prima dell'intervento, e il cane in dimissioni stava benissimo, la ferita era di pochi centimetri, ma alla proprietaria importava il nome della tecnica, non il risultato dell'operazione. Il nome al posto della sostanza! Incredibile. Se le avessi detto: "Certo, vede come vanno bene gli interventi in laparoscopia?" Lei non avrebbe fatto una piega.
L'ignoranza purtroppo su questo tema è dilagante e un tempo ero anche io un po' confusa. Comunque, la differenza tra laparoscopia e chirurgia tradizionale non sta nella buona riuscita dell'intervento.
Ma che cos'è questa laparoscopia?
Me lo sono chiesta troppe volte e alla fine ho deciso che dovevo affrancarmi dalla mia infinita ignoranza, così mi sono messa a studiare. Purtroppo i libri per certe cose non sono minimamente sufficienti. Per la chirurgia diciamo che i libri sono una base di partenza, ma poi bisogna metterci le mani. In laparoscopia ancora di più, perchè la visione del campo operatorio è completamente diversa. E' come imparare una nuova anatomia. Le mani diventano in tuoi occhi e lunghi strumenti sottili diventano le tue mani. E' tutto diverso!
Alla fine del 2019 in pieno Covid ho conosciuto Daniele, un collega chirurgo laparoscopista, che amichevolmente mi ha dato la possibilità di seguirlo in qualche intervento, giusto per iniziare a capire. Con lui ho fatto le prime laparoscopie come aiuto chirurgo. Ho iniziato ad accompagnarlo qualche volta nelle cliniche e negli ospedali dove faceva questo tipo di interventi, poi ho comprato l'attrezzatura e ho cominciato a studiare la tecnica per conto mio, su cadavere e con una pancia artificiale che mi sono costruita, per provare gli accessi, la triangolazione e il funzionamento degli strumenti. Ho fatto insieme a Daniele alcuni interventi in laparoscopia nella mia sala operatoria, ma il vero training è stato presso l’Ospedale Veterinario Città di Bergamo, del mio amico Giovanni Allevi. Lui non c’era più, ma sua moglie Eleonora e i colleghi Giorgio, Roberta e Elena mi hanno un po’ adottata insegnandomi generosamente tutto quello che potevano. Sono lenta ad imparare, prudente, meticolosa e devo provare un intervento molte volte prima di pensare che lo posso fare. Sono un chirurgo che non ama il sangue. Ad un certo punto Eleonora mi ha detto: questo lo fai tu. Mi ha messo in mano la pinza e io ho tagliato e coagulato il mio primo ovaio in laparoscopia, sotto la supervisione di Giorgio ed Eleonora. Mi ricordo che era tondo e scappava da tutte le parti! Ho continuato a considerarmi studente in ovariectomia laparoscopica per altri 7 mesi, poi ho capito che ero pronta.
PERCHE' UN CHIRURGO CHE OPERA DA VENT'ANNI IN OPEN DEVE IMPARARE ANCHE LA CHIRURGIA LAPAROSCOPICA?
La mia risposta è una sola: libertà intellettuale. Voglio essere libera di fare una cosa o l'altra in base all'interesse del paziente. Non voglio essere tra quelli che dicono "la laparoscopia è inutile, è una tecnica troppo indaginosa, al cane non cambia niente, devi gonfiare la pancia del cane con un gas potenzialmente tossico, ci vuole più tempo..." Eccetera
La via laparoscopica consente di fare due ferite molto corte (che poi esternamente sembrano due buchini) invece di un’unica ferita un po’ più lunga e questo porta sicuramente dei vantaggi in alcuni pazienti. Non tutti.
Nella mia opinione sterilizzare un cane molto piccolo in laparoscopia non porta alcun vantaggio, mentre operare un grave obeso in laparoscopia può essere addirittura sconveniente. La tecnica secondo me è ideale su cani normopeso di taglia media o grande dove la chirurgia tradizionale è leggermente più invasiva rispetto alla laparoscopia. Se devo sterilizzare un cane di 1,5 kg lo faccio in open. Il medico in ogni caso è il centro di tutto: un buon chirurgo sceglie il meglio per il proprio paziente senza assecondare le mode, ma applicando al giusto candidato la tecnica migliore, o forse più sinceramente la migliore tecnica che lui può applicare.
Non sono un fan della laparoscopia, ma la preferisco e la propongo in alcuni casi, mentre in altri la trovo un fatto modaiolo che viene richiesto solo perché il proprietario del cane non ha alcuna idea delle implicazioni.
Cioè la gente dice “laparoscopia!” come se chiedesse un chilo di sfilatini dal panettiere, ma in realtà non ha la minima idea di cosa si tratti. Più la tecnica si diffonde, più saltano fuori gli incidenti e le complicanze. Non bisogna avere preconcetti, ma bisogna sapere come stanno veramente le cose.
Tra una buona chirurgia tradizionale e una laparoscopia potenzialmente complicata o peggio che ti si complica in diretta, bisogna sempre avere la possibilità e la libertà di scegliere in anticipo la tecnica più sicura e bisogna poter convertire se necessario un intervento in laparoscopia in un intervento open. Avendo imparato la tecnica laparoscopica ed essendo a mio agio con la chirurgia open, godo di buona libertà intellettuale, posso fare quello che voglio, per cui alla fine propongo onestamente al proprietario solo quello che secondo me è meglio per il paziente.
E poi in ogni caso mi impegno al massimo e odio il sangue.
Se volete sapere dettagliatamente come funziona l’intervento di sterilizzazione andate avanti a leggere, altrimenti saltate le crude descrizioni. Se volete più in basso ci sono alcune considerazioni sul momento giusto per sterilizzare un cane e sui motivi per farlo o non farlo e più giù il mio ricordo e il mio lutto per Giovanni Allevi.
INTERVENTO DI STERILIZZAZIONE IN CHIRURGIA TRADIZIONALE DETTA ANCHE OPEN (DALL'INGLESE "APERTO").
Il paziente e' a pancia in su per tutto l'intervento, ovviamente in anestesia generale e intubato. La respirazione può essere spontanea o in ventilazione assistita, attraverso una macchina chiamata ventilatore. L'accesso alla cavità addominale avviene attraverso una corta ferita chirurgica.
La sua lunghezza dipende dalla taglia del cane, dalla profondità dell’addome, dalla quantità di grasso addominale e dal chirurgo. Se il cane è molto piccolo, come un toy di 1,5 kg, si può usare un piccolo strumento che solleva l’ovaio, di modo da non inserire nemmeno un dito in addome. In quel caso l’incisione può essere davvero piccolissima, ma non sempre si riesce ad usare lo strumento in sicurezza, quindi a volte è necessario usare le dita. Solitamente la lunghezza deve essere sufficientemente ampia per infilare uno o due dita nella cavità addominale, localizzare con il tatto l’utero, separandolo con delicate spinte delle dita da tutto il resto (grasso, omento e intestino) sollevarlo, estrarre l’ovaio fuori dalla cavità addominale. In seguito, si trattiene all'esterno l’ovaio con due pinze, si legano i vasi sanguigni molto molto bene con un filo di sutura riassorbibile, e lo si asporta con delle forbici chirurgiche.Si ripete la stessa cosa dal lato opposto per il secondo ovaio. Poi si chiude in tre strati la ferita: parete addominale, sottocute e cute con punti riassorbibili. Nelle due foto l'aspetto delle ferite chirurgiche in due cani di circa 4 kg: in alto un chihuahua in cui si vedono i due piccoli segni lasciati dai punti di sutura appena rimossi, in basso un bassotto appena operato in fase di risveglio. In questo caso non si vedono i punti perché la sutura è intradermica. Questo tipo di sutura della cute non richiede la rimozione dei punti. La ferita in ogni caso verrà coperta con un piccolo cerotto per alcuni giorni. Non sarà necessario collare di Elisabetta e nessun tipo di ulteriore medicazione.
INTERVENTO DI STERILIZZAZIONE IN CHIRURGIA LAPAROSCOPICA (OV LAPARO PER GLI AMICI, dove OV sta per ovariectomia)
L’anestesia è la stessa ma il paziente deve essere necessariamente in ventilazione meccanica, per cui è necessario disporre del ventilatore. Dopo vi dico perché.
Il cane inizialmente è posizionato a pancia in su. Viene praticata una prima ferita chirurgica di circa 1 cm, sufficiente per inserire una specie di tubo chiamato cannula. L’incisione è piccola e bisogna stare molto attenti perché dentro alla cannula c’è uno strumento chiamato trocar, che ha una bella punta e serve per facilitare l’ingresso in addome, ma può anche danneggiare gli organi interni. Lì sotto c’è la milza. In questa fase bisogna stare molto attenti. Ci sono diversi modi per entrare in addome e io ho scelto il più prudente perché sono un chirurgo che non ama per nulla il rischio. La cosa che più odio in chirurgia è rischiare l'errore chirurgico. Io controllo visivamente di tagliare bene tutti gli strati con il bisturi, fino a che dall’esterno intravedo la cavità addominale attraverso un forellino di circa 5 mm.
Una volta infilata la cannula si dà una controllata con l’endoscopio per assicurarsi essere veramente in addome. In pratica tolgo il trocar dalla cannula e infilo l’endoscopio, che è collegato ad un grande monitor e ad una fonte di luce. Perché nella pancia dei cani normalmente fa molto buio e per illuminarla c’è bisogno di una luce forte, e fredda per carità.
Quindi oltre al ventilatore che assiste la respirazione del paziente, ci vuole anche l’ottica dell’endoscopio, il monitor che trasferisce l’immagine catturata dall’endoscopio e la luce fredda che consente di illuminare la cavità addominale.
Ok, tutto bene, siamo in addome con il nostro endoscopio. Ma non vediamo un bel niente! Perché?? Perché è come se per leggere un libro, appiccicassimo il nostro occhio sulla pagina. Abbiamo bisogno di mettere dello spazio, della distanza tra l’occhio dell’endoscopio e gli organi addominali. Quindi per farlo gonfiamo la cavità addominale con un gas. Il gas distende la pancia e finalmente noi vediamo come dentro ad una piccola caverna la parete addominale, il diaframma, i reni, il fegato, la vescica. E’ molto molto bello. Il gas usato è anidride carbonica medicale fornita da un’azienda specializzata in gas purissimi per uso laparoscopico. Quindi abbiamo anche una bombola di anidride carbonica.
Ma come si fa a passare dalla bombola alla pancia del cane? Bene: ci vuole un'altra macchina che si chiama insufflatore. In pratica l’insufflatore prende anidride carbonica dalla bombola attraverso un tubo speciale, chiamato tubo ad alta pressione, ne riduce la pressione e la cede delicatamente attraverso un piccolo tubicino, chiamato tubo a bassa pressione, che io nel frattempo mentre vi parlavo ho avvitato alla cannula numero uno. Se sembra complicato… è perché è davvero complicato.
Comunque, se mi avete seguito, ora un flusso controllato e delicato di CO2 ha disteso pian piano la pancia del mio paziente. Fino a quando? Lo decido io, ossia imposto una certa pressione e l’insufflatore riesce a erogare gas mantenendo la pressione stabile, non poca e non troppa.
A quel punto la pancia è bella gonfia e io faccio un altro buco un po’ più in basso e infilo la seconda cannula. Infatti servono due accessi. Il primo accesso serve per l’ottica e per il gas. Il secondo serve per gli strumenti che andranno a prendere le ovaie.
Il cane era a pancia in su? Accidenti ora ci serve sul fianco, perché così l’intestino cade verso il basso e in alto mi resta come appeso e isolato l’utero e l’ovaio.
Quindi mettiamo il cane sul fianco. Ah, e qui per girare il cane ci serve uno speciale tavolo operatorio basculante, oppure un terzo operatore che ci dia una mano. Quante cose!
Ora abbiamo il cane con la pancia gonfia e due cannule: cannula numero uno con l’ottica che ci permette di vedere l’interno della pancia e cannula numero due dove infiliamo una speciale pinza lunghissima e sottile che coagula e taglia. Questo tipo di pinza speciale è uno strumento molto avanzato: sente la quantità di acqua dei tessuti ed eroga una corrente elettrica misurata per sigillare arterie fino a 7 millimetri attraverso un generatore super intelligente. Un altro strumento indispensabile.
Se va via la corrente? Sono morta! E allora ho comprato un accumulatore che mi restituisce corrente in sala operatoria in caso di black out.
Ora prendiamo l’ovaio, lo sospendiamo (qui le tecniche divergono e non tutti hanno la stessa opinione), lo elettrocoaguliamo e lo tagliamo. Togliamo la speciale pinza che taglia e coagula, e ne infiliamo un’altra speciale lunghissima e sottile con dei piccoli denti che mordono e tengono fermamente l’ovaio reciso. Pensate che sia tutto qui? Siamo a meno di metà, ma ora vado di corsa perché vi vedo sbadigliare.
Il cane va di nuovo messo a pancia in su, perché nel momento in cui l’ovaio viene tirato fuori dal buchino numero due... può cadere, e se mi cade tra le anse intestinali con il cane disteso sul fianco mi hanno detto che è introvabile. Non ho nessuna intenzione di scoprire se è vero. Se invece l’ovaio mi cade mentre il cane è a pancia in su lo si ritrova subito (infatti mi è capitato). Comunque, giriamo il cane a pancia in su (tavolo basculante o terzo assistente) e tiriamo fuori la pinza fino a quando non si intravede l’ovaio, che ovviamente è un po’ più grosso del buco e quindi per passare fa fatica. A volte bisogna allargare il buco numero due e trafficare un po’ con le pinze.
Quando finalmente ho l’ovaio sul mio tavolo operatorio sono abbastanza felice, ma devo fare la stessa cosa dalla parte opposta. Rimetti la cannula, gira il cane, individua l’altro ovaio, sospendi, coagula e taglia, riprendi con la pinza, rigira il cane a pancia in su, tira fuori il secondo ovaio. Fine!
Esulto insieme al secondo chirurgo, all’anestesista e all’assistente se c’è. Spengo la CO2, chiudo i due buchini con un paio di punticini interni e del sottocute e della cute (sempre tre strati), mi dico “sìì felice perché hai fatto un intervento semplice in un modo molto avanzato e complicatissimo!” Sono poi così felice? Ma sì, dai. Ho fatto molta fatica a raggiungere questo risultato e quindi devo essere felice per forza, anche se ha volte mi chiedo… ma perché la laparoscopia va tanto di moda?
Riassunto.
Chirurgia tradizionale: uno o due chirurghi e un anestesista, pochi strumenti chirurgici normali, un taglio dai 2 ai 6 cm a seconda della taglia del cane. Tempo normale di chirurgia 30 minuti. Tempi normali di recupero 2-3 giorni.
Chirurgia laparoscopica: due chirurghi di cui almeno uno endoscopista (cioè che si è fatto un sacco di training in tutti i modi possibili per imparare), un anestesista, un assistente, pochi strumenti chirurgici endoscopici, molta apparecchiatura elettromedicale indispensabile che deve funzionare bene e contemporaneamente (endoscopio, sistema video, fonte di luce fredda, ventilatore polmonare, bombola di anidride carbonica, insufflatore per laparoscopia, generatore per pinze elettriche endoscopiche, pinze elettriche endoscopiche). Tempo normale di chirurgia 40-50 minuti. Tempi normali di recupero 2-3 giorni.
Ah, già! Perché in laparoscopia la respirazione del paziente deve essere obbligatoriamente assistita dal ventilatore? Perché l'addome è gonfio di CO2 e il diaframma è schiacciato. La respirazione naturale viene ostacolata dalla pressione intraddominale e quindi ci serve assolutamente una macchina che ventili il paziente.
Alle dimissioni, due cani operati con le due tecniche diverse. Clicca due volte sulla freccia per vedere i video.
INTERVENTO DI STERILIZZAZIONE: QUANDO
Prima del primo calore? Personalmente contraria. Le cagne sterilizzate prima del primo ciclo estrale hanno una vulva piccolissima, prepubere, che predispone al ristagno di urina e ad infezioni croniche della vulva e della vagina, soprattutto quando il resto del corpo della cagna cresce e aumenta la pelle e il grasso sottocutaneo nella regione genitale.
Tra il primo e il secondo calore? Già meglio. Escludo le cagne paurose e aggressive. Gli ormoni aiutano gli animali a capirsi e a socializzare.
Tra il secondo e il terzo calore. Direi che è la migliore via di mezzo. Abbiamo permesso ai genitali esterni di svilupparsi senza restare intrappolati nella plica cutanea che si sviluppa spesso nell’adulto sopra una vulva prepubere, e al cervello del nostro cane abbiamo dato tempo di sviluppare fisiologicamente la socialità tra cani.
Nella foto in alto a destra l'aspetto di genitali esterni prepuberi in una cagna anziana, sterilizzata da piccola, che soffre di vaginiti croniche.
Nella foto più in basso a sinistra un cane adulto e sano, sterilizzato dopo il secondo calore.
INTERVENTO DI STERILIZZAZIONE: PERCHE’ SI’
Non sterilizzare il cane: aumenta in età avanzata il rischio di tumore mammario e patologie infiammatorie dell’utero, espone al rischio di gravidanze indesiderate, costituisce in certi casi un problema di convivenza e di limitazione nelle attività che il cane potrà fare nel periodo del ciclo estrale.
INTERVENTO DI STERILIZZAZIONE PERCHE’ NO
Fare i cuccioli. Perché la nostra cagnolina è sana, di buon carattere e vogliamo dei cuccioli che sicuramente verranno adottati.
Aggressività. Non sterilizziamo una cagna aggressiva perché probabilmente peggiorerà il carattere.
Cane anziano. Valuto caso per caso i pro e i contro della sterilizzazione di una cagnolina in età avanzata senza malattie di ovaie o utero.
TRIBUTO A GIOVANNI ALLEVI
Sabato mattina 11 settembre 2021 ero in Assisi ad un congresso sui brachicefali e ho controllato la mia chat con Giovanni. Volevo riguardare la foto di un intervento per il quale avevamo avuto uno scambio di idee. Non ricordo di aver visto se era on line, ma oggi sono sicura che non poteva esserlo, perché quel mattino o stava arrampicando oppure era già caduto e in ogni caso non era su Whatsapp.
Seppi dopo che le ricerche di Gio e del suo compagno di arrampicata erano partite domenica e che la famiglia sarebbe rimasta altri due giorni nelle tenebre del dubbio, nella speranza angosciosa che Gio potesse ritornare a casa, tutto rotto ma vivo. Domenica senza notizie, lunedì senza notizie. Due giorni da incubo ma con un lumino di fede.
Martedì mattina mentre stavo operando chiama la mia amica Francesca Merlini, veterinaria e compagna di università, per chiedermi se sapessi qualcosa di Gio. A Francesca rispondo sempre, anche se sto operando, e quindi in qualche modo attivo il vivavoce. Cosa dovrei sapere di Giovanni? Le chiedo. Francesca mi risponde cautamente che Gio è disperso in montagna e voleva sapere se io avessi notizie recenti, visto che siamo amici. Io invece non sapevo un bel niente! So che è istruttore CAI, che arrampica in montagna estate e inverno, non so quante volte gli ho detto “E’ pericoloso!!!”, che ha la sindrome delle mani bianche come me, e me lo vedo sorridente sempre tranquillo come suo solito. Penso: adesso gliene dico quattro. Con questo flipper di frammenti di idee e ricordi nella testa finisco la chirurgia poi lo chiamo. Il cellulare è muto. Lo richiamo, lo ri-richiamo ancora, guardo se è in rete. Cellulare muto. Richiamo. Di nuovo. Semplicemente nego la possibilità che il mio amico Giovanni sia disperso in montagna. Rifiuto e negazione.
Penso che tutti noi che gli volevamo bene abbiamo attraversato lo stesso corridoio. Provi a chiamarlo un tot di volte sul cellulare fino a quando ti entra nella dura scatola cranica che quel giorno non ti risponderà, poi chiami la segretaria che non risponde, alla fine scrivi a Eleonora, sua moglie. Quale sia stata la via che ti ha portato a sapere, vieni a saperlo. E quel modo, quel momento, quel luogo si mescolano in un’immagine sola fino a diventare un tatuaggio. Tutto quello che è successo prima e dopo, anche il particolare più insignificante entra indelebile nella memoria. Quel giorno Gio hai fatto una grande operazione di memoria collettiva. Tutti noi, che ti abbiamo perso, sappiamo esattamente dove eravamo, con chi e cosa stavamo facendo sabato 11 settembre 2021 quando sei caduto e martedì 14 settembre 2021, quando sei stato trovato.
Eleonora, su whattsapp: “hanno trovato il cadavere stamattina”.
Non è vero. Chiamo Eleonora per farmi dire che non è vero. Eleonora non può parlare al telefono, però risponde a tutti i miei messaggi.
Dopo i giorni si sono mescolati, mi ricordo solo che ho pianto, gridato furiosamente, con una rabbia ringhiosa, un delirio di ira e dolore che potevo sopportare solo per pochi attimi alla volta e che usciva dal corpo con grande fatica. Mi sentivo un alieno, come se dentro di me ci fosse un mostro ferito, che ogni tanto usciva sotto forma di pianto rabbioso. Non era una cosa che potevo condividere con altri, perché era spaventoso come sono spaventosi i mostri. E’ durato alcune settimane, poi il mostro si è acquietato. E’ stato il dolore più terribile che abbia mai provato per la perdita di una persona cara. Sono stata anche in grado di piangere in maniera normale e di parlarne, e questo mi ha aiutato. Sono stati due tipi di dolore: quello violento e incontenibile, il mostro, e quello normale, greve ma gestibile. Questo secondo tipo di dolore è maneggevole e lo puoi mostrare alle persone care e perfino agli estranei, persone che ti aspettano quando devi finire di piangere e hai bisogno di aggrapparti. Se non ti concedi di piangere davanti agli altri e di farti aiutare, una rabbia di mostro forse resta dentro di te.
Giovanni Allevi, per molti colleghi della mia età o per i più giovani era un vero mito. Giovanni era per i tanti che lo rimpiangono un amico e un punto di riferimento. Era una certezza, ti dava la soluzione, e a volte era la soluzione. Giovanni Allevi era tantissime cose: un ortopedico, un chirurgo endoscopico, un medico, era il mio compagno di università, compagno di dottorato, la mia risorsa quando non sapevo come fare una cosa, il mio ortopedico di riferimento, era un mio amico. Quando giro per il quartiere vedo i suoi pazienti, i cani che lui ha operato e che ha rimesso in piedi, vedo le sue mani, guanti sette e mezzo, le sue viti, le sue misurazioni per recuperare un ginocchio, per far correre i cani, quei cani che correranno e vivranno più di lui perché Giovanni ha lasciato me e tutta la rete di persone che lui ha annodato. Era una persona fuori dal comune e un grande chirurgo talentuoso con capacità rare e multiformi. Rendeva semplici le procedure complicate, aveva un’abilità non comune nel superare i problemi pratici. Era un medico preciso e rigoroso, sempre aggiornato, ma nello stesso tempo era flessibile e innovativo, alla ricerca della soluzione più lineare e semplice possibile. Non mollava mai, studiava tantissimo ma aveva un grande spirito di praticità e innovazione. Aveva avuto obiettivi ambiziosi nella vita e li aveva centrati tutti, velocemente. Fin dall’università era stato uno che andava diritto per la sua strada, non potevi stargli dietro e meno che mai rallentarlo, però nello stesso tempo era trainante, ti potevi mettere nella sua scia e portare a casa qualcosa di buono. Mi manca tantissimo. Era divertente, energico e buono. Non gli ho mai sentito dire una cattiveria o una cosa stupida. Era trasparente e anche se ovviamente si staccava dagli altri non lo faceva pesare. Non cercava attivamente di mettere a proprio agio le persone e aveva sempre fretta, perché utilizzava il suo tempo come meglio poteva, però era disponibile, non si negava mai, ed era completamente affidabile.
Una delle ultime volte che è venuto a operare da me ho portato in sala operatoria anche mio figlio, perché volevo proprio che mio figlio lo conoscesse, il mio amico Giovanni Allevi. E’ stata una mattinata divertente che non dimenticheremo mai.
Ogni dolore è personale e ha una sua dignità. Ho smesso di chiedermi se sia giusto soffrire tanto per un amico che ha lasciato moglie, figli e genitori. Soffriamo e basta, non c’è maggiore o minore diritto nel lutto. C’è spazio per tutti. Ognuno ha diritto di essere in lutto quanto e come vuole. Il lutto è un cerchio piccolo o grande, al cui interno ci si può accomodare, da soli o in compagnia.
Dopo un mese dalla morte di Gio ero ancora in uno stato pietoso e avevo bisogno di parlare di lui e stare fisicamente vicina alle persone che soffrivano maggiormente per la sua morte. Gli strappi di una rete vanno ricuciti, avvicinati e richiusi a partire dai bordi, quindi senza capirne nemmeno io le vere ragioni ho iniziato a frequentare il suo Ospedale, la sua creazione, perché avevo bisogno di stare con i suoi amici e colleghi, e volevo stare con Eleonora. Da qualche parte ho letto che fino a quando il ricordo di chi ci ha lasciato sarà in grado di pungere anche solo un poco sotto la pelle, chi è morto continuerà ad esistere, fino a quando l’ultima puntina di dolore si sarà spenta.
Gio non vive più ma esiste fortissimo in una dimensione diversa, in tutte le cose che la sua morte ha incendiato e in tutte le persone che convivono con la sua assenza.
Stare con il suo gruppo mi faceva sentire meno sola e così ho iniziato ad andare all’Ospedale Veterinario di Bergamo.
A Bergamo Giovanni ha il suo ospedale, una sorta di seconda casa con dentro praticamente una seconda famiglia. All’inizio mi sembrava di stare sulle montagne russe, mollare il mio ambulatorio una mattina a settimana per andare a fare cosa in una sala operatoria già abbastanza affollata di medici e infermieri, ma poi il tempo passato con i suoi colleghi e sua moglie mi ha fatto bene, mi ha aiutata a gestire il lutto. Eleonora mi ha accolta nella sua sala operatoria e piano piano mi sono integrata, mi sono sentita a casa, tra amici. Mi sono affezionata a tutti loro, e sono felice di aver conosciuto persone così belle e medici tanto bravi. Forse anche la mia strana presenza ha avuto un senso per loro e per Eleonora. Sono andata a Bergamo quasi tutti i lunedì da ottobre a maggio. Gio è morto in settembre, quindi sono stata con loro nei primi mesi, i più duri, una mattina alla settimana. Quando non ci sono potuta andare ho sentito la loro mancanza. Sono stata con loro in sala operatoria in un clima gelido e funereo dove si parlava di Gio appena possibile. Tutti avevamo bisogno di parlare di Giovanni ma nello stesso tempo c’era del pudore, della reticenza, e un bisogno di silenzio. Eleonora ha tenuto tutto assieme e ha affrontato questa prova gigantesca offrendo un esempio straordinario di coraggio, solidità ed equilibrio. Che dono per Giovanni averla a fianco.
Il mese peggiore è stato dicembre, per il Natale che rimesta il dolore della perdita come un dito nella piaga. Poi piano piano il gelo si è intiepidito e tutti stavano un pochino meglio. I colleghi di Gio sono persone speciali. Giovanni è riuscito a creare un ambiente di lavoro compatto, efficiente e sano. In quei mesi ho finito di imparare quello che avevo lasciato sempre un po’ a metà, un po’ in sospeso, ossia la chirurgia base in laparoscopia, della quale Gio mi parlava entusiasticamente. Mi diceva sempre che dovevo imparare anche io, e che lui mi avrebbe insegnato se fossi andata qualche volta a Bergamo nel suo ospedale. Giovanni mi diceva: “Dài Nico, che vieni da me due volte e poi inizi subito da sola!” Macché. Io sono molto molto più lenta, però alla fine caro Gio devi sapere che ho imparato.