CRISI EPILETTICHE ED EPILESSIA IDIOPATICA NEL CANE


Premessa
Molti amici di Bairo in questi anni mi hanno raccontato la storia del loro cane colpito da epilessia e di come in molti casi la malattia abbia ricevuto una diagnosi tardiva oppure di come, sebbene sia stata fatta correttamente la diagnosi, la terapia sia stata trascurata del tutto o condotta in modo inadeguato.
Per quanto riguarda la mancata diagnosi o la diagnosi tardiva del problema, si tratta naturalmente (quando la crisi viene osservata dal proprietario e subito riferita al veterinario curante) di una scarsa capacità del veterinario di comprendere, attraverso il racconto del proprietario, quello che è realmente accaduto al cane. Ho esperienza diretta di crisi epilettiche vere e proprie la cui natura è rimasta a lungo completamente oscura, oppure che, nella migliore delle ipotesi, sono state scambiate per colpo di calore, per sintomo di malattia cardiaca o infine per infarto spinale/attacco di mal di schiena.
Viceversa, dalla parte del proprietario, l’errore che più comunemente ho riscontrato nella gestione del cane epilettico è di tollerare senza fare niente che il proprio animale abbia crisi frequenti. La motivazione di questa scelta (sottrarre un malato alla terapia) in genere è riconducibile alla sottostima della gravità del problema, o meglio ad una scarsa percezione della sofferenza sopportata dall’animale prima, durante e dopo la crisi, combinata con una certa diffidenza nei confronti dei farmaci antiepilettici. Questo tipo di atteggiamento a volte viene purtroppo assecondato dal veterinario curante.
In questa semplice relazione, ad uso e consumo dei proprietari di cani con crisi epilettiche, vorrei trasmettere le informazioni di cui si dovrebbe poter disporre per curare al meglio il proprio animale, in sinergia con il veterinario di fiducia.

Che cos’è una crisi epilettica?
La crisi epilettica è l’espressione, la manifestazione esterna, di un’anomalia nell’attività cerebrale. Più precisamente questa anomalia, che riguarda i neuroni della sostanza grigia cerebrale, consiste in un’attività parossistica della durata in genere di poche decine di secondi. La manifestazione esteriore di questa attività dipende dall’ampiezza con la quale il tessuto cerebrale viene coinvolto nell’attività epilettica. Ci possono essere crisi epilettiche generalizzate, con perdita di coscienza, attività motoria involontaria diffusa a tutti i muscoli del corpo, perdita di urine e feci, oppure ci possono essere crisi epilettiche parziali, durante le quali il cane mantiene il contatto con il mondo che lo circonda (anche se può fare cose insolite) e può avere contrazioni involontarie di pochi gruppi muscolari. Questo secondo tipo di crisi è il più difficile da riconoscere.
La crisi epilettica può essere preceduta dall’aura: è una fase di alcuni secondi durante i quali il cane sembra accorgersi dell’arrivo della crisi. Appare spaventato, irrequieto e cerca il proprietario.
Dopo la crisi si può verificare una sintomatologia postictale, per un tempo di durata variabile, solitamente di alcuni giorni. La sintomatologia postictale consiste in alterazioni del comportamento, come eccessiva sete, voracità, iperattività. In alcuni casi questa fase è caratterizzata da transitori disturbi neurologici evidenziabili all’esame neurologico.

Perché avvengono le crisi epilettiche?
Questa anomalia nell’attività cerebrale dipende da una disfunzione di un piccolo gruppo di cellule nervose, le quali risultano più eccitabili delle altre, si “mettono insieme” (si sincronizzano) e cominciano a mandare impulsi a ripetizione per coinvolgere nella loro attività altri gruppi di neuroni e altri ancora, fino eventualmente a diffondere l’attività epilettica a tutta la sostanza grigia. A volte il punto dove inizia la crisi epilettica è vicino ad una lesione organica o è sede di un processo patologico. Nel cervello ematomi, tumori, infiammazioni, infezioni, aree di necrosi, malformazioni, disturbi tossici o metabolici possono tutti essere associati a crisi epilettiche. In questo caso si dice che l’epilessia è secondaria o sintomatica. Ossia la crisi epilettica è il sintomo di un problema noto, come il cimurro (che è una malattia) o un antico trauma cranico che ha determinato una lesione stabile (che non è una malattia, ma è uno stato patologico) o ancora una crisi ipoglicemica. In questi casi l’epilessia non è la malattia, ma il sintomo. Il sintomo può essere oggetto di per se stesso di terapia, ma in realtà si dovrebbe (quando possibile) curare la malattia primaria.

Cos’è l’epilessia idiopatica?
Altre volte, nella maggior parte dei casi, l’epilessia del cane non è associata ad alcun disturbo organico. Questo è vero soprattutto nei cani di taglia media e grande (oltre 15 Kg) e di età media (compresa tra 1-2 e 5-6 anni). In tali animali tutte le ricerche ematochimiche e la diagnostica per immagini dell’encefalo (TAC o risonanza magnetica) danno esito negativo. In questi casi l’epilessia viene dichiarata idiopatica (epilessia idiopatica, o primaria, o vera). La parola idiopatica non è altro naturalmente che un bel modo per dire “non lo so”: cioè il cervello di questo animale ha un malfunzionamento che causa crisi epilettiche, ma che i nostri strumenti di indagine non riescono a determinare, perchè tutti gli esami fatti risultano negativi. Siccome “non lo so” a noi medici pare poco bello, allora ci siamo messi d’accordo per usare la parola “idiopatico”. Mi piace dire che, a volte, quello che è idiopatico in gennaio, potrebbe non esserlo più già in aprile. Questo per dire che “idiopatico” deve essere sempre supportato da numerosi dati a sostegno (esiti negativi di alcuni esami, razza ed età compatibili, sintomi compatibili). Altrimenti meglio dire “idiopatico, fino a prova contraria”. Ad esempio un medico che aveva a che fare con dei cani affetti da epilessia idiopatica refrattaria alla terapia antiepilettica un giorno ha deciso di provare a sottoporli alla dieta privativa: qualcuno di questi animali è guarito dall’epilessia “idiopatica”, che al limite si sarebbe dovuta chiamare su base allergica.

Come si comporta l’epilessia idiopatica?
L’epilessia idiopatica, come già detto, prevale nel cane oltre i 15 Kg di peso e di età compresa tra i 2 e i 5 anni (con un'estensione tra 1 e 6 anni). Ciò vuol dire che in genere la prima crisi epilettica si manifesta all’interno di questa fascia di età. Naturalmente però, poiché stiamo parlando di dati medi, non è detto che non si possa diagnosticare l’epilessia idiopatica anche in un cane di 11 mesi o di 7 anni, o che abbia un peso inferiore ai 15 Kg.
Ci possono essere crisi isolate, che capitano una volta nella vita. In quel caso non si parla di epilessia. Nell’epilessia idiopatica le crisi si ripetono, più o meno a cadenza costante, per molti anni consecutivi, spesso per tutta la vita. In genere tra la prima e la seconda crisi passa almeno un mese. Tra una crisi e l’altra il cane è perfettamente sano e normale, ma naturalmente immediatamente dopo la crisi il cane può avere le alterazioni del comportamento e dell’esame neurologico di cui già detto, riferibili al periodo postictale. Con il tempo le crisi si possono ravvicinare, distanziare, intensificare o ridurre di intensità. La sintomatologia insomma si può modificare con il tempo perché il cervello è un sistema plastico, che si adatta e che cambia insieme a tutto il resto del corpo.

Diagnosi di epilessia idiopatica
Come già anticipato tutto quello che finisce per “idiopatico” meriterebbe molti esami e test atti ad escludere qualsiasi altra malattia compatibile con i sintomi. Il cane ideale per ricevere la diagnosi di epilessia idiopatica è un cane di media taglia, un giovane adulto perfettamente normale alla visita, con un profilo ematologico e biochimico nella norma ed eventualmente con una diagnostica per immagini dell’encefalo negativa. Poiché questo tipo di indagine richiede che il cane venga sottoposto ad anestesia generale ed ha un costo abbastanza alto (tra i 250 e i 400 euro), è accettabile sorvolare su questo aspetto della diagnostica quando tutti gli elementi clinici e anamnestici convergono verso la diagnosi di epilessia idiopatica. Allora si può dire: se il decorso rimane abbastanza costante e se non compaiono sintomi neurologici, visto che gli esami del sangue sono normali e che alla visita è tutto nella norma, possiamo tenere in sospeso la diagnostica per immagini (TAC o risonanza) per farla eventualmente in seguito, se qualcosa dovesse andare diversamente da come ci si aspetta. Questo è un buon discorso, sensato, che permette al cliente di decidere consapevolmente se fare o no l’esame.

Curare l’epilessia idiopatica.
L’epilessia va curata come ogni altra malattia. Di solito si comincia a somministrare il fenobarbitale partendo da un dosaggio di 2,5 mg/kg due volte al giorno. Dopo due settimane dall’inizio del trattamento si deve dosare la fenobarbitalemia. Il dosaggio del farmaco nel sangue serve per sapere quanto del farmaco che viene dato per bocca arriva effettivamente nel sangue, ossia se la posologia usata è corretta: ci sono cani nei quali per avere una fenobarbitalemia adeguata (30-35 microgrammi su ml di sangue) sono necessari dosaggi orali di fenobarbitale quadrupli rispetto a quelli che basterebbero ad altri soggetti.
Se la fenobarbitalemia è sotto il limite terapeutico, allora si aumenta un po’ il dosaggio orale, si aspettano due settimane e poi si ripete l’esame, fino a trovare la posologia adatta. La fenobarbitalemia poi verrà ricontrollata un paio di volte all’anno, se va tutto bene, oppure al bisogno se dovessero ricomparire le crisi.
Se la fenobarbitalemia è nell’intervallo terapeutico ma il cane continua ad avere crisi epilettiche, allora si aggiunge il potassio bromuro. Anche questo farmaco andrà poi dosato nel sangue, ma solo dopo circa 3 mesi dal suo inizio, perché impiega molto più tempo, rispetto al fenobarbitale, a raggiungere un livello stabile nell’organismo.
Vi sono altri farmaci per la cura dell’epilessia, ma questi due sono i più comuni.


Curare la crisi epilettica nell’emergenza.
Il diazepam (Valium) è indicato quando il cane, per un motivo o per l’altro, ha una crisi epilettica. La soluzione iniettabile va tenuta sempre in casa e somministrata per via rettale o per via orale il prima possibile quando comincia la crisi, ma naturalmente se questo non è possibile la somministrazione può essere fatta durante la crisi o, al limite, anche se fosse già finita. A seconda del momento in cui si riesce a somministrarlo, il diazepam serve ad evitare la crisi, oppure ridurla di intensità e durata, e ridurre di intensità e durata il periodo postictale. Il dosaggio va da 0,5 a 2 mg/kg. Durante la crisi epilettica è importante trattenersi dall’urlare e dallo scuotere l’animale, come per cercare di farlo tornare in sé, ma al contrario va assicurato attorno a lui un ambiente il più possibile silenzioso e in penombra e va somministrato il valium.


A chi è destinata la terapia anticonvulsivante?
A tutti i cani epilettici che abbiano avuto almeno tre crisi epilettiche distanziate da un periodo interictale inferiore alle quattro settimane. In questi animali gli svantaggi della terapia sono ampiamente colmati dai vantaggi, cioè ne vale la pena.

A chi non è destinata la terapia anticonvulsivante?
Non è indicato iniziare il trattamento in un cane che ha avuto una sola crisi epilettica nella vita, o nel quale le crisi si verificano ad intervalli di tempo superiori alle quattro settimane. A questa regola generale vi sono alcune eccezioni. Ad esempio se un cane ha crisi molto distanziate nel tempo ma “a grappolo” (quindi potenzialmente molto pericolose), allora la terapia è indicata ugualmente.

Quali sono gli svantaggi della terapia anticonvulsivante?
Ogni terapia ha degli svantaggi. In questo caso si tratta da parte del proprietario di sostenere un costo (moderato) per i farmaci e per i dosaggi ematici e di spendere del tempo per somministrare al cane le medicine. Il costo per il cane è rappresentato dal rischio modesto di effetti collaterali: questi possono essere una certa sedazione o debolezza, per lo più legata all’eccessivo dosaggio, l’alterazione di alcuni parametri biochimici e ormonali con poco o nessun effetto sull’animale e infine l’aumento di peso.

Quali sono i vantaggi della terapia anticonvulsivante?
Il vantaggio naturalmente risiede nel controllo delle crisi. Questo determina un notevole abbassamento del rischio che il cane epilettico vada incontro alle complicanze più gravi: deficit neurologici permanenti, stato epilettico, morte. Inoltre indubbiamente si verifica un miglioramento della qualità di vita dell'animale e, nel tempo, anche la possibilità di guarire completamente dall'epilessia e non avere più bisogno di farmaci.
Per quanto riguarda il proprietario il vantaggio di usufruire di un buon controllo farmacologico della malattia riduce l'ansia e lo stress riguardo la possibilità che l'animale vada incontro a crisi nei momenti più disparati e inoltre minimizza o azzera i costi sostenuti per visite e terapie d'emergenza presso i Pronto Soccorso Veterinari.

Per quanto tempo si devono somministrare i farmaci?
Generalmente per tutta la vita. Tuttavia, se il cane dopo la terapia rimane libero da crisi per almeno un anno consecutivo, si può tentare molto gradualmente di ridurre i farmaci fino a sospenderli. Questa riduzione richiede un tempo di 6-12 mesi.

Quante probabilità di successo ha la terapia?
L’obiettivo minimo della terapia anticonvulsivante è di aumentare del 50% il periodo di tempo che mediamente trascorre tra una crisi e l’altra, mentre il massimo obiettivo raggiungibile è la scomparsa delle crisi. Nel cane si raggiunge un buon controllo della malattia (scomparsa delle crisi o importante allungamento del periodo interictale) in circa il 70% dei pazienti trattati con fenobarbitale, mentre per il 10-15% dei casi il controllo adeguato della malattia viene ottenuto solo con la combinazione di fenobarbitale e potassio bromuro. Questa combinazione si associa spesso, nei cani del tutto resistenti alla terapia con solo fenobarbitale, alla completa remissione delle crisi.
Soltanto il 15% dei cani risulta completamente refrattario alla terapia. Questo vuol dire che, se la cura è corretta, è molto più probabile che il proprio cane smetta di avere crisi, piuttosto che il contrario. Ossia: se il vostro cane ha crisi epilettiche, nonostante stia facendo una terapia, tra tutte le varie possibilità, quella più probabile è che la terapia non sia corretta, non che il vostro cane sia refrattario. Capito??


La Storia di Milly.
Milly è una cagnolina di 5 anni, 10 Kg, epilettica dall’età di due. Quando la conobbi era il cane più terrorizzato dai veterinari che avessi mai visto. La proprietaria mi disse che Milly aveva subito un grosso trauma quando, in seguito ad una piccola emorragia causata dall’eccessivo accorciamento di un unghia effettuato dal veterinario, quest’ultimo aveva cauterizzato l’emorragia con uno strumento metallico arroventato. In principio non credetti a questa storia, che mi sembrava assurda. Negli anni seguenti però la proprietaria me la ripeté spesso, senza mai cambiare una virgola del racconto, soffermandosi sempre sugli stessi particolari (la fiamma dell'accendino, il latrato del cane, lei che se lo prende in braccio e scappa via dall’ambulatorio per non tornarci mai più), così ho finito per credere alla signora e alla sua storia pazzesca. Comunque Milly era epilettica, prendeva tutti i giorni da tre anni il Gardenale, tuttavia nell’ultimo anno aveva ugualmente diverse crisi alla settimana. La proprietaria venne per chiedermi di aiutarla. Venne la prima volta senza cane, voleva capire che tipo di veterinario fossi, poi decise di fidarsi. L’idea della signora era di aumentare il dosaggio del Gardenale, ma io la convinsi a permettermi di fare un prelievo di sangue a Milly per dosare la fenobarbitalemia, cosa che non era mai stata fatta da quando era iniziata la cura. Il prelievo non era una cosa da prendere alla leggera, perché il cane doveva essere addormentato: infatti bastava che io mi avvicinassi, per scatenare reazioni di paura fortissime e in alcuni casi anche crisi epilettiche. La proprietaria acconsentì. Quando ebbi l’esito dell’esame le comunicai subito che la fenobarbitalemia era nei limiti terapeutici e che il Gardenale non andava aumentato ma bisognava associare il potassio bromuro. Improvvisamente, a partire da pochi giorni dopo aver iniziato il potassio bromuro, le crisi di Milly passarono da tre alla settimana a zero. Milly, fino al giorno della sua morte, avvenuta diversi anni dopo per cause naturali non legate all'epilessia, non ebbe più una sola crisi epilettica.

La storia di Adi.
La storia di Adi ha un segno completamente opposto a quello che vorrei per qualsiasi cane epilettico. La sua malattia comincia nel dicembre di qualche anno fa. Credo fosse il 2004. Adi è un bel cane di grossa taglia maschio, di circa 3 anni, bianco, con una macchia marrone sulla testa. Lo visito per la prima volta perché una cliente voleva la mia opinione su un fatto accaduto qualche giorno prima al cane di una sua amica. Questo cane è appunto Adi, mentre questa amica, proprietaria di Adi, si chiama Monia.
Monia qualche giorno prima aveva osservato Adi comportarsi in modo strano: il cane si era estraniato dall’ambiente circostante, si era irrigidito, era rimasto immobile a terra per qualche attimo e poi si era rialzato. Portato subito in un Pronto Soccorso veterinario, era stata erroneamente interpretata come una specie di attacco di mal di pancia quella che chiaramente era la prima crisi epilettica osservata da Monia nel proprio cane.
Io visitai Adi, mi feci raccontare bene l’atteggiamento avuto dal cane e spiegai a Monia che si trattava sicuramente di una crisi epilettica. Poteva essere una nella vita e poi mai più, ma doveva tenersi pronta perché poteva capitare ancora. Avrebbe dovuto tenere in casa del Valium, annotare le eventuali successive crisi su un calendario e iniziare la terapia anticonvulsivante che le avrei prescritto se le crisi si fossero ripetute.
Da allora praticamente non rividi più Monia, fino all’aprile del 2008, dopo oltre tre anni e mezzo da quelle mie raccomandazioni. Durante quel tempo le crisi epilettiche si erano ripetute, intensificate, aggravate. Adi aveva crisi epilettiche molto frequenti e gravi, tuttavia non aveva mai ricevuto alcuna terapia anticonvulsivante. Perchè?
Monia aveva sentito altri pareri, il cane era stato seguito da vari veterinari, alcuni dei quali avevano sconsigliato la terapia. Sta di fatto che Monia veniva da me non per curare il suo Adi ma per sopprimerlo.
Le motivazioni con le quali, tra le lacrime mi chiedeva di sopprimere Adi erano gravi: l’animale era divenuto aggressivo nei confronti di un altro cane convivente di grossa taglia e queste aggressioni tra i due cani erano fonte di continui pericoli per la bimba di casa, di soli diciotto mesi. Durante le crisi epilettiche Adi perdeva urine e feci sul pavimento e questo scatenava grossi conflitti in famiglia, soprattutto per la presenza della bimba in giro per casa e per le ovvie ripercussioni di natura igienica. Monia negli anni aveva già rinunciato a buona parte della propria serenità per aiutare il suo cane, ma ora era arrivata al limite e non poteva mettere a rischio anche la serenità della sua bambina.
Io ho avuto due colloqui con Monia prima di decidermi ad acconsentire alla sua richiesta. Durante il primo colloquio, in cui Monia mi tacque molte informazioni, le dissi che si poteva ancora curare l’epilessia e che si poteva controllare anche l’aggressività tra i due cani, farmacologicamente nell’emergenza e poi con una terapia comportamentale.
Durante il secondo colloquio, dopo circa un mese dal primo, Monia piangeva tanto e la sua disperazione era sincera. Era spaventata e decisa a separarsi per sempre dal suo cane. Le confidenze che mi fece e la sincerità del suo dolore e del suo attaccamento ad Adi mi convinsero ad acconsentire alla sua richiesta. Però prima ho chiesto a Monia che lo facesse sopprimere alla sua veterinaria, quella delle vaccinazioni, quella che le avrebbe detto che si poteva anche non curare l’epilessia perché tanto “i cani devono fare la vita dei cani”. Mi ha risposto che quella stessa veterinaria si era rifiutata di sopprimere l'animale, senza però offrire alcuna soluzione alternativa. E allora questo peso me lo sono presa io, perché in fondo penso che essere responsabili sia più importante che apparire perfetti e senza macchia. Credo che quando ci si trova a dover scegliere tra due mali, si debba avere la forza di scegliere il male minore, e non voltare la schiena al problema. Rifiutare di aiutare Monia, dirle di arrangiarsi un po’, visto che non aveva seguito le mie indicazioni terapeutiche, avrebbe voluto dire far patire altra sofferenza a lei, alla sua famiglia, ad Adi, mettere in pericolo una bambina piccola e comunque passare la patata bollente ad un altro veterinario, esattamente come era stato fatto a me. Comunque sia, ora Adi è libero, anche se la decisione presa continua a pesare a me e, sono certa, anche a Monia.



Dott.ssa Nicoletta Bevere, Medico Veterinario, Milano. Bibliografia disponibile su richiesta

Aggiornato Ottobre 2007